L’ art. 8 Legge cittadinanza così recita:
“” 1. Con decreto motivato, il Ministro dell’interno respinge l’istanza di cui all’articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste nell’articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica, il decreto è emanato su conforme parere del Consiglio di Stato. L’istanza respinta può essere riproposta dopo cinque anni dall’emanazione del provvedimento.
2. L’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni.””
Tale disposizione prende in considerazione il momento di emanazione del provvedimento ministeriale di rigetto della istanza di cittadinanza per matrimonio restando, in conseguenza, irrilevante agli effetti della preclusione delle cause ostative previste nell’ art. 6 Legge Cittadinanza, il lasso temporale necessario all’integrazione dell’ efficacia dell’atto con la comunicazione all’interessato.
Il sig. D. reitera il motivo, disatteso dal T.A.R., con il quale, con richiamo all’art. 8, comma 2, della legge n. 91 del 1992, si sostiene che la determinazione negativa è intervenuta una volta consumatosi il potere dell’ Amministrazione di pronunziarsi sulla domanda di concessione della cittadinanza per il decorso del termine biennale dalla sua presentazione.
Il motivo va disatteso
Il primo giudice ha correttamente opposto al riguardo che la disposizione prima menzionata prende in considerazione il momento di emanazione del provvedimento ministeriale – avvenuta il 9 dicembre 2010 e, quindi, entro il biennio dalla data del 18 dicembre 2008 di presentazione della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana – restando, in conseguenza irrilevante agli effetti predetti il lasso temporale necessario all’integrazione dell’ efficacia dell’atto con la comunicazione all’interessato.
Così si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 2763 del 5 giugno 2015( pubblicata nel sito di” immigrazione.it” Rivista professionale di scienze giuridiche e sociali – 1 luglio 2015 )
Giurisdizione: Italiana
Argomento: Cittadinanza e Apolidia
Ambito: Amministrativo – Competenza: Consiglio di Stato
Data: 05/06/2015
Sintesi della decisione:
L’obbligo della P.A. di pronunciarsi sulla richiesta di concessione della cittadinanza italiana entro due anni a decorrere dalla domanda è comunque rispettato anche se, una volta adottato il provvedimento entro il termine di legge, la comunicazione all’interessato avvenga decorso tale termine.
Quando il diniego è motivato sugli esiti di attività informativa da cui erano emersi elementi ostativi di pericolo per la sicurezza della Repubblica, sebbene la p.a. goda di un’ampia sfera di discrezionalità circa la possibilità di concedere o meno la cittadinanza, tuttavia la sua determinazione, non sindacabile nei profili dell’opportunità della scelta, non si sottrae agli obblighi di adeguatezza dell’istruttoria e di congruità della motivazione, che non risultano adeguatamente assolti ove manchi la verifica e l’esternazione delle ragioni in base alle quale i riscontri a carico dei parenti del richiedente si riflettano, in rapporto di consequenzialità e di ragionevole efficienza casuale, sull’interessato con effetto di pericolo per la sicurezza della Repubblica.
Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 2763 del 5 giugno 2015
Massima e/o decisione:
Sul ricorso numero di registro generale 4677 del 2013, proposto da M. D., rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Felici, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, Via Montebello, 109;
contro
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II QUA n. 00600/2013, resa tra le parti, concernente il diniego concessione della cittadinanza italiana
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Viste le note a difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2015 il consigliere Bruno Rosario Polito e uditi per le parti l’avv. Felici e l’ avvocato dello Stato Soldani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con decreto del Ministero dell’ Interno in data 9 dicembre 2012 era respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana avanzata dal cittadino algerino M. D., residente in Italia fin dall’età adolescenziale e coniugato con cittadina italiana.
Il diniego era motivato sugli esiti di attività informativa da cui erano “emersi elementi ostativi di pericolo per la sicurezza della Repubblica che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera c) (della legge n. 91 del 1992), precludono l’acquisto della cittadinanza italiana”..
Avverso il provvedimento negativo il sig. D. insorgeva avanti al T.A.R. per il Lazio deducendo motivi di legittimità inerenti alla consumazione del termine biennale dalla produzione della domanda per opporre il diniego; alla carenza di idonea motivazione e all’inosservanza delle garanzie procedimentali previste dall’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche e integrazioni.
Con sentenza n. 6000 del 2013 il T.A.R. adito respingeva il ricorso.
Contro la pronunzia di rigetto il sig. D. ha proposto appello ed ha contrastato le conclusioni del primo giudice insistendo, anche in sede di note conclusive, nei motivi dedotti in prime cure.
Il Ministero dell’ Interno si è costituito in resistenza formale.
All’udienza del 19 luglio 2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2. Il sig. D. reitera il motivo, disatteso dal T.A.R., con il quale, con richiamo all’art. 8, comma 2, della legge n. 91 del 1992, si sostiene che la determinazione negativa è intervenuta una volta consumatosi il potere dell’ Amministrazione di pronunziarsi sulla domanda di concessione della cittadinanza per il decorso del termine biennale dalla sua presentazione.
Il motivo va disatteso.
Il primo giudice ha correttamente opposto al riguardo che la disposizione prima menzionata prende in considerazione il momento di emanazione del provvedimento ministeriale – avvenuta il 9 dicembre 2010 e, quindi, entro il biennio dalla data del 18 dicembre 2008 di presentazione della domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana – restando, in conseguenza irrilevante agli effetti predetti il lasso temporale necessario all’integrazione dell’ efficacia dell’atto con la comunicazione all’interessato.
Il particolare valore fidefacente fino a querela di falso del decreto impugnato, in quanto atto pubblico, esclude ogni illazione circa la veridicità della data apposta sul provvedimento.
2.1. Con il secondo mezzo il ricorrente contrasta le conclusioni del T.A.R. – che ha ritenuto corretto l’esercizio della sfera di discrezionalità riservata all’ Amministrazione dell’ Interno nella materia de qua – e insiste sull’assenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 91 del 1992, possano impedire l’acquisto della cittadinanza.
Gli elementi rassegnati dal Ministero dell’Interno sulla base di apposita attività informativa danno atto dell’esistenza del rapporto di parentela del ricorrente con soggetti (padre e cognato) arrestati del 1995 dall’ autorità giudiziaria di Napoli nell’ambito di indagini sulle cellule integraliste islamiche legate alla G.I.A. (Gruppo Islamico Armato). A ciò l’ Amministrazione ha ricondotto una potenziale ricaduta del rilascio di un provvedimento ampliativo della posizione di status del Deramchi sulle condizioni di sicurezza pubblica
Osserva il collegio che non è in discussione, come da giurisprudenza pacifica, che l’Amministrazione goda di un’ ampia sfera di discrezionalità circa la possibilità di concedere o meno la cittadinanza, con valutazione che si estende non solo alla capacità dello straniero di ottimale inserimento nella comunità nazionale nei profili dell’ apporto lavorativo e dell’ integrazione economica e sociale, ma anche in ordine all’ assenza di vulnus per le condizioni di sicurezza dello Stato. Sotto tale ultimo aspetto possono assumere rilievo rilevo situazioni che – anche se non caratterizzate nell’immediato da efficienza lesiva del su riferito interesse primario – lo possano essere su un piano potenziale e di solo pericolo.
La vicenda di cui è causa si caratterizza, tuttavia, per aspetti di peculiarità, ove si consideri la risalenza nel tempo dei fatti cui si riconduce la condizione ostativa al riconoscimento della cittadinanza, pur in presenza dei presupposti di cui all’art. 5 della legge n. 91 del 1992 (rapporto di coniugio con cittadina italiana); l’assenza di verifiche istruttorie in ordine agli esiti dell’attività investigativa espletata nel 1995; la mancanza di ogni riscontro con riguardo a eventuali rapporti di contiguità e frequentazione dell’odierno esponente con gli inquisiti, nonché in ordine ad una sua condotta di vita che possa identificare una situazione di pericolosità per le condizioni di sicurezza e di ordine pubblico.
L’elevazione della soglia di tutela e di prevenzione nella materia de qua non consente di ricondurre, con carattere di automatismo, al solo rapporto di parentela la ricaduta di mende e pregiudizi che gravano su persone diverse dal soggetto che – versando nelle condizioni di cui all’art. 5 della legge n. 91 del 1992 – aspira al riconoscimento del diritto di cittadinanza.
La determinazione dell’ Amministrazione, pur altamente discrezionale e non sindacabile nei profili dell’opportunità della scelta, non si sottrae, quindi, agli obblighi di adeguatezza dell’istruttoria e di congruità della motivazione, che nella specie non risultano adeguatamente assolti, stante la mancata verifica e esternazione delle ragioni in base alle quale i riscontri a carico dei parenti del ricorrente si riflettano, in rapporto di consequenzialità e di ragionevole efficienza casuale, sull’odierno appellante con effetto di pericolo per la sicurezza della Repubblica.
L’appello va quindi accolto e, per l’effetto, va accolto il ricorso di primo grado e va annullato il provvedimento con esso impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’ Amministrazione. Resta assorbito il motivo relativo alla regolarità formale del procedimento per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.
In relazione ai profili della controversia e alla natura degli interessi coinvolti spese ed onorari possono essere compensati fra le parti per i due gradi di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento con esso impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’ Amministrazione.
Compensa fra le parti spese e onorari dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
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